Latte, Confagricoltura Brescia: penalizzato da prezzi bassi e costi produttivi in aumento

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La grave situazione e le problematiche di mercato del latte vaccino in Italia sono state oggetto di un’audizione in senato, nei giorni scorsi, indetta dall'Ufficio di Presidenza della Commissione Agricoltura del Senato in cui è intervenuta Agrinsieme il coordinamento di Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri e dalle centrali cooperative Confcooperative FedAgriPesca, Legacoop Agroalimentare e Agci Agrital.  “Viviamo nelle nostre aziende la crisi dei prezzi su cui Agrinsieme ha posto l’accento” – commenta Alfredo Lucchini presidente della sezione di prodotto Lattiero – casearia di Confagricoltura Piacenza. “La situazione in atto -prosegue Lucchini - ha comportato un crollo delle quotazioni del latte, mentre i costi di produzione lievitano notevolmente. Tutto ciò incide pesantemente sulla redditività e tenuta degli allevamenti”. Agrinsieme, nell’audizione, ha ricordato l’importanza del settore lattiero-caseario con un fatturato di circa 16,5 miliardi di euro, che rappresenta 11,5% del totale del fatturato industriale dell’agroalimentare. La spesa annua delle famiglie sui prodotti del settore si aggira sui 20 miliardi di euro. La produzione di latte del 2020 è di circa 12,6 milioni di tonnellate, coprendo l’autoapprovvigionamento per circa il 90% del fabbisogno nazionale di latte (alla quale si aggiungono oltre 7 milioni di tonnellate di latte equivalente in prodotti lattiero caseari che importiamo). Agrinsieme ha chiesto una strategia articolata che potrebbe scaturire da un tavolo interministeriale per mettere a fuoco le attuali difficoltà del comparto e gli strumenti idonei per superarle. “Alle difficoltà legate al prezzo del latte alla stalla – aggiunge Alfredo Lucchini – si sommano quelle generate dai costi crescenti dei fattori produttivi, in particolare delle materie prime impiegate nell'alimentazione del bestiame, come soia e mais che hanno rialzi storici nelle loro quotazioni, e dei fertilizzanti; materie d’importazione sulle quali gli agricoltori non riescono ad ottenere alcuna riduzione. Vanno poi considerati anche i costi crescenti per rispondere ai bisogni indotti nel consumatore dal marketing della distribuzione. Abbiamo così prodotti che garantiscono requisiti ben più elevati dei già stringenti obblighi di legge in termini qualitativi, di benessere animale, di sostenibilità: caratteristiche garantite dall’allevatore che tuttavia non beneficia di alcun plus e che dunque si trova schiacciato tra costi incomprimibili e bassa remuneratività del latte.  Grazie agli investimenti realizzati nelle zone maggiormente vocate, come quella piacentina, le aziende del comparto hanno incrementato la produttività riducendo la dipendenza dal latte estero al punto che si sta realizzando un’inversione di tendenza e il latte straniero raggiunge quotazioni paragonabili, addirittura a volte superiori, rispetto a quello nazionale. Il latte nazionale è comunque prodotto con caratteristiche qualitative e nutrizionali di alto livello (a cui rispondono altrettanto alti costi produttivi, e nel nostro areale in molti casi si tratta anche di materia prima certificata per la filiera del Grana Padano dop. Questo latte si trova a competere sul mercato con il latte d’importazione, ne consegue che chi trasforma gioca una posizione di forza e può applicare politiche di prezzo”. Uno scenario nuovo che rischia di portare al collasso le imprese agricole. Gli allevatori che hanno investito molto non vedono ripagati sforzi fatti, anzi vedono il valore aggiunto di produzioni eccellenti riconosciuto solo ai segmenti successivi della filiera. “Mancando un’organizzazione dell’offerta, gli allevatori non riescono a fare lobby e a imputare al prezzo del latte i crescenti costi produttivi, cosa che avviene negli altri settori da cui gli agricoltori sono fortemente dipendenti. Serve un piano nazionale che possa accompagnare nel medio periodo i produttori verso sistemi aggregativi che conferiscano agli allevatori maggior forza contrattuale – spiega Lucchini - urgono interventi nel breve periodo per fare fronte all’emergenza ed evitare una moria di aziende. A livello strategico, come evidenziato da Agrinsieme, bisogna ampliare l’export, che nel 2020 ha subito una battuta di arresto e che oggi è focalizzato in pochi mercati di sbocco (Europa e Nord-America) e va favorito un approccio aggregativo per raggiungere massa critica e ampiezza di gamma. Un’altra strada potrebbe anche essere quella di incentivare lo sviluppo di prodotti in sostituzione dei circa 70 milioni di quintali di latte equivalente che oggi importiamo come prodotti lattiero caseari derivati”. Il coordinamento di Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari ha anche sottolineato come negli ultimi anni si sia accentuata la campagna denigratoria sull’allevamento specializzato, che non tiene assolutamente in conto, solo per fare un esempio, che gli allevamenti italiani hanno ridotto del 40% le emissioni del principale gas serra per la zootecnia.  Agrinsieme chiede che non venga disperso il know how (frutto di decenni di lavoro ricerca e sviluppo) del settore allevatoriale, che venga riconosciuto il suo essere motore trainante dell’economia e del territorio, che già garantisce latte e prodotti derivati di qualità, assieme alla tutela dell’ecosistema e del benessere animale. “Serve – conclude Lucchini - un efficace piano di comunicazione che sia in grado di narrare la bontà e la salubrità della filiera con la sua intrinseca e positiva connessione agli aspetti produttivi, oggi troppo spesso ingiustamente esposti ad una irrazionale guerra mediatica”.

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